La confraternita dei Bianchi della Giustizia
Per iniziativa dei volontari dell’Associazione “Il Faro d’Ippocrate” e di concerto con la Confraternita dei Bianchi della Giustizia e con la Curia di Napoli, dal 2017 è aperto al pubblico questo luogo interdetto per secoli, aperto al popolo solo due volte l’anno per le funzioni di Pasqua e dell’Assunta e definitivamente chiuso dal 1862.
Il valore storico e artistico è incommensurabile; dallo scalone di piperno a tenaglia si accede alla cappella dedicata a Santa Maria Succurre Miseris, con affreschi di Giovan Battista Beinaschi e seicenteschi stalli lignei con figure fantastiche. Nella Sacrestia descritta nelle belle pagine di “Luci ed ombre napoletane” di Salvatore di Giacomo, si apprezzano i ritratti di confratelli che furono Pontefici e Santi, pregevoli stucchi e rare iconografie Mariane e “la scandalosa”, una ceroplastica del XVIII secolo che mostra tutto l’orrore del “mal franzese”, utilizzata come monito o deterrente per chiunque avesse intrapreso la strada della dissolutezza.
La Compagnia dei Bianchi della Giustizia fu fondata intorno al 1430 da S. Giacomo della Marca; i confratelli suffragavano con messe ed elemosine le anime dei condannati a morte. Il "Breve" di Clemente VII del 28 luglio 1525, approvò i capitoli della Compagnia e ne definì lo scopo: “procurare la salute dell’anima di quelli che sono a morte condannati, et visitare i miserabili imprigionati e gli spedali de li ammalati, e quelli spetialmente di mali incurabili infermi”.
Nel 1534, la Compagnia si stabilì presso l'Ospedale degli Incurabili in una casa messa a disposizione dalla fondatrice Maria Longo. Qui i confratelli costruirono la cappella intitolata a Santa Maria Succurre Miseris, che conserva tuttora pregevoli opere d’arte e testimonianze di una intensa e interessante storia: dalla statua di marmo dell’Assunta posta sull’altare maggiore attribuita a Giovanni da Nola, agli affreschi realizzati da Giovan Battista Benaschi (o Beinaschi) nella volta dell’oratorio e da Paolo De Matteis nella sala delle riunioni dei confratelli.
Inizialmente la Confraternita ebbe composizione mista, laica e religiosa; dopo il 1580, venuta in sospetto al potere vicereale, fu composta da soli religiosi.
Vestiti con un lungo saio bianco ed un cappuccio che ne copriva il volto, davano conforto religioso ai condannati nelle ultime ore di vita, li accompagnavano al patibolo e ne recuperavano il corpo per dargli sepoltura.
Nel corso dei secoli i Bianchi rafforzarono e consolidarono le proprie attività istituzionali, fino al 1862, quando i precipitosi avvenimenti polito-sociali che portarono all’Unità d’Italia, posero fine alla loro attività.
I preziosi Registri della Congregazione dei Bianchi della Giustizia, inventariati dal prof. Antonio Illibato, sono attualmente custoditi presso l’Archivio Storico Diocesano di Napoli. In essi sono presenti importanti documenti che rimandano ad alcuni rilevanti eventi della storia cittadina, come la Rivoluzione del 1799, che vide i Bianchi confortare i rivoluzionari condannati a morte, tra i quali: Domenico Cirillo, Eleonora Pimentel Fonseca, Gennaro Serra di Cassano, Mario Pagano, Vincenzo Russo e Luigia Sanfelice.